venerdì 27 novembre 2015

Ripartizione oneri condominiali tra nudo proprietario ed usufruttuario.

Con una decisione del 6 novembre 2015 la Cassazione è nuovamente intervenuta in tema di ripartizione delle spese condominiali fra usufruttuario e nudo proprietario, stabilendo che la differenziazione deve essere posta fra quelle inerenti la conservazione ed il godimento della cosa e quelle che invece incidono sulla struttura.
Nei motivi articolati a sostegno della sentenza in esame, testualmente si legge che:
L’art. 1004 c.c. stabilisce, al primo comma, che sono a carico dell’usufruttuario “le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa”.
L’art. 1005 c.c. dispone, invece, che sono a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie, considerando come tali, con elencazione ritenuta dalla giurisprudenza di carattere non tassativo, “quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”.
L’art. 1006 c.c. prevede, poi, la facoltà dell’usufruttuario di far eseguire a proprie spese le riparazioni poste a carico del proprietario, quando quest’ultimo, previamente interpellato, rifiuti di eseguirle o ritardi l’esecuzione senza giustificato motivo. In tal caso, la stessa norma stabilisce che le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto, senza interessi.
Pur dovendosi rilevare che, in linea di principio, la nozione di “manutenzione” non si identifica con quella di “riparazione” (intendendosi per “riparazione” l’opera che rimedia ad un’alterazione già verificatasi nello stato delle cose in conseguenza dell’uso o per cause naturali, e per “manutenzione” l’opera che previene l’alterazione: cfr. Cass. 4-1-1969 n. 10), dal coordinamento delle menzionate disposizioni di legge si desume chiaramente che il legislatore ha operato una commistione di tali termini, come è reso evidente dal fatto che l’art. 1004 c.c., nell’onerare (primo comma) l’usufruttuario della “manutenzione ordinaria”, pone a carico del medesimo usufruttuario (secondo comma) le “riparazioni straordinarie” rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di “ordinaria manutenzione”.
Diversamente opinando, si perverrebbe alla inammissibile conclusione secondo cui, ponendo l’art. 1005 c.c. a carico del nudo proprietario solo le “riparazioni straordinarie”, la “manutenzione straordinaria” dovrebbe gravare a carico dell’usufruttuario; il tutto in contrasto con l’espressa previsione del citato art. 1004 c.c., che pone a carico dell’usufruttuario solo le spese e gli oneri relativi alla “manutenzione ordinaria della cosa”, con ciò stesso facendo ricadere a carico del nudo proprietario la manutenzione straordinaria.
La piena sovrapponibilità delle nozioni “manutenzione” e “riparazione” utilizzati in materia dal legislatore trova ulteriore conferma nel primo comma dell’art. 1015 c.c., che sanziona con la decadenza dall’usufrutto la condotta dell’usufruttuario il quale lasci andare i beni in perimento per mancanza di “ordinarie riparazioni”, facendo quindi ricorso ad una terminologia diversa da quella di “manutenzione ordinaria” impiegata nel primo comma dell’art. 1004 c.c. per indicare le attività alle quali è tenuto l’usufruttuario.
Deve concludersi, in definitiva, che ciò che rileva, ai fini della distinzione tra gli interventi gravanti a carico dell’usufruttario e del nudo proprietario, non è la maggiore o minore attualità del danno da riparare, ma la essenza e la natura dell’opera, e cioè il suo carattere di ordinarietà o straordinarietà, poiché solo tale caratterizzazione incide sul diritto di cui l’uno o l’altro dei due soggetti sono titolari: spettando all’usufruttuario l’uso e il godimento della cosa, salva rerum substantia, si deve a lui lasciare la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione e il godimento della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva; si devono, invece, riservare al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa, perché afferiscono alla nuda proprietà (v Cass. 4-1-1969 n. 10 citata).
Ha errato, pertanto, la Corte di Appello nel ritenere che l’art. 1006 c.c. si riferisca alle sole spese di “riparazione”, con esclusione delle spese di “manutenzione straordinaria”, quali quelle che, come si legge nella sentenza impugnata, sono state liquidate dal giudice di primo grado in favore della convenuta.
In sintesi, ciò che rileva ai fini della ripartizione delle spese è l'essenza e la natura dell'opera, dovendosi ritenere a carico del'usufruttuario, a cui spetta l'uso ed il godimento della cosa, l'onere di provvedere a tutto ciò che riguarda il bene nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva, mentre spettano al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa.
Cass. Civ., Sez. II, 06/11/2015, n.22703

mercoledì 28 ottobre 2015

Infiltrazioni lastrico solare responsabilità condominio per omessa custodia dei tombini.

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha ritenuto sussistere la responsabilità del condominio, anche in caso di infiltrazioni provenienti dal lastrico solare di proprietà esclusiva, qualora tale fenomeno sia imputabile e riconducibile ai tombini ed agli scarichi di proprietà comune ivi presenti, ricollegando detta responsabilità all'omessa custodia degli stessi.
I Giudici di Piazza Cavour hanno, infatti, sostenuto che il condominio è tenuto a verificare la presenza e gli effetti che i sistemi di smaltimento delle acque, di sicura titolarità condominiale, provocano sullo spazio privato, pertanto ha cassato con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova, affinché si accerti l'esistenza o meno di un nesso eziologico fra le lamentate infiltrazioni e l'omessa manutenzione.
Cass. Civ., Sez. II, n. 21694/2015


domenica 4 ottobre 2015

Conflitto di interesse fra condominio e condomino maggioranze assemleari.

In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le deliberazioni sono quelle inderogabilmente previste dalla legge, ai fini sia del conteggio del “quorum” costitutivo che di quello deliberativo, ed includono anche i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, che possono astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità, per ogni partecipante, di adire l'autorità giudiziaria per impossibilità di funzionamento del collegio in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria.
Pertanto, anche nell'ipotesi di conflitto di interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentano la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'Autorità giudiziaria.
Cass. Civ. Sez. II, 28/09/2015 n. 19131

venerdì 27 febbraio 2015

Innovazione cancello a chiusura aree comuni

Non tutte le modificazioni delle cose comuni possono qualificarsi come innovazioni; perchè ciò avvenga è necessario che le modificazioni determinino l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportando che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
In forza del principio suddetto, nel caso in questione, la Cassazione ha affermato che  la delibera assembleare con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato condominiale con uno o più cancelli per disciplinare il transito pedonale e veicolare anche in funzione di impedire l'indiscriminato accesso di terzi estranei a tale area, non incide sull'essenza del bene comune e non ne altera la funzione o la destinazione, ragion per cui deve escludersi la natura di innovazione a simile opera.
Cass. Civ., Sez. II, 23/02/2015, n. 3509

martedì 13 gennaio 2015

Natura vani ripostiglio ricavati fra terrapieno e muro condominiale

Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall'articolo 1117 c.c., che contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario. (Deve dunque ritenersi superata la presunzione di condominialità relativamente agli spazi mancanti di areazione diretta, che risultano privi di un'originaria destinazione di servizio rispetto all'edificio condominiale, mentre sono ben utilizzabili dagli appartamenti a confine sul lato lungo degli stessi, «da cui i detti locali hanno unico accesso»; dovendosi sottolineare che il costo di realizzazione nonché le spese di manutenzione di detti locali sono rimasti accollati esclusivamente ai soci direttamente interessati al loro uso e godimento).
Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 12572 del 04/06/2014

Revisione tabelle millesimali difetto legittimazione amministratore

La domanda finalizzata a rivedere le tabelle allegate a un regolamento di natura contrattuale deve essere proposta in contraddittorio di tutti i condomini. L'amministratore di Condominio non ha legittimazione attiva in merito alla modifica delle tabelle millesimali.
L'uso della res comune da parte di ciascun condomino è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della res comune e nell'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Orbene, la norma suddetta, intesa ad assicurare al singolo partecipante, quanto all'esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della res comune, legittima quest'ultimo, nel rispetto dei predetti limiti, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi la nozione di uso paritetico intendersi in termini di assoluta identità di utilizzazione della res.
Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 22464 del 22/10/2014