lunedì 9 ottobre 2017

La chiostrina

La chiostrina o cavedio rappresenta una sorta di cortile interno all'edificio e, generalmente, gli oneri manutentivi ad essa inerenti dovrebbero essere suddivisi fra i condomini secondo i criteri di ripartizione delle spese riconducibili proprio al cortile. La giurisprudenza, tuttavia, è spesso giunta a conclusioni diverse, soprattutto nel caso in cui  il cortile ovvero la chiostrina rappresentino anche un elemento di copertura di altre unità; ciò in virtù della natura precipua della chiostrina, che è quella di rispondere ad esigenze condominiali volte alla ventilazione ed illuminazione degli appartamenti che su di essa si affaccino, ragione per cui la giurisprudenza esonera dalla manutenzione di queste aree gli appartamenti che non godano di affaccio su di essa.
In linea di principio la Cassazione sostiene che “il cavedio (o chiostrina, vanella, pozzo luce), cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio condominiale, essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali bagni, disimpegni, servizi), è sottoposto al regime giuridico del cortile, qualificato bene comune, salvo titolo contrario, dall'art. 1117, n. l, c. c., senza che la presunzione di condominialità possa essere vinta dal fatto che al cavedio si acceda solo dall'appartamento di un condomino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità (nella specie, pilozza, scaldabagno, impianto d'illuminazione), in quanto l'utilità particolare che deriva da tali fatti non incide sulla destinazione tipica e normale del bene in favore dell'edificio condominiale” (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 1 agosto 2014, n. 17556).
Cionondimeno la suddetta presunzione di condominialità della chiostrina viene superata ogniqualvolta è diversamente stabilito dall'atto costitutivo del condominio ovvero da accordi specifici intercorsi tra proprietario originario e successivi acquirenti, principio più volte affermato e riconosciuto anche nella sentenza di legittimità appena richiamata.
Si tratta quindi di un bene che si presume comune, salva diversa disposizione contenuta nel titolo d’acquisto ed è proprio l’esistenza di un eventuale titolo contrario che, escludendo la natura condominiale del bene, attribuisce la proprietà esclusiva dello stesso bene ad un soggetto. Pertanto, l'unico modo per superare la presunzione di comunione di cui al summenzionato articolo, è quello di dimostrare che la proprietà esclusiva del cavedio è da riconoscere in capo ad uno o più soggetti determinati, fornendo la prova contraria della presunzione legalmente operante.
Occorre, però, specificare quando il regolamento di condominio è idoneo a vincere la presunzione la presunzione in questione; secondo la recente giurisprudenza, la prova della proprietà esclusiva “non può essere data dalla clausola del regolamento condominiale che non menzioni detto bene tra le parti comuni dell’edificio, non costituendo tale atto un titolo idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene e quindi la sua sottrazione al regime della proprietà condominiale” (Cass. n. 17928/2007; n. 6175/2009). Ne consegue che il regolamento di condominio può avere esclusivamente una funzione positiva ossia ove prevede che la chiostrina sia di proprietà esclusiva è idoneo a vincere la presuzione quando, invece, non include la chiostrina fra i beni comuni la presunzione non può dirsi vinta stante l'interpretazione espansiva da dare all'art. 1117 c.c.. Ovviamente, in presenza di un regolamento di condominio che prevede la proprietà esclusiva del bene in esame, questa dovrà essere riportata in ogni atto con cui si dispone del diritto di proprietà dell'immobile a cui compete la proprietà esclusiva della chiostrina.
Il ragionamento sin qui condotto riguarda una chiostrina che sia posta a servizio di più unità immobiliari facenti parte del condominio poiché, nel caso in cui la medesima sia posta a servizio di una sola unità immobiliare, va da sé che non opera l'art. 1117 c.c., il quale, nell’enucleare i beni che si presumono condominiali, recita espressamente "...tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune..."; dunque, si evince che, nelle ipotesi in cui non sussista tale rapporto di accessorietà, ma vi è una destinazione particolare, il bene è “naturalmente” di proprietà individuale e, pertanto, non occorre, a livello probatorio, provare il titolo contrario, perché non opera la presunzione ex art. 1117 c.c.. Sul tema sono opportunamente intervenute le Sezioni Unite (Cass., SS.UU., Sentenza 07/07/1993 n.7449), non per dirimere un contrasto giurisprudenziale, ma in funzione correttiva dell’orientamento espresso dalle sezioni semplici. E così nella motivazione della sentenza richiamata si legge “… una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà”. E ancora “… la destinazione particolare esclude già all’origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni, e che ad esso possa quindi riferirsi la norma dell’art.1117c.c.. Come esempio chiarificatore può considerarsi l’ipotesi di una scala che serve per accedere a un solo appartamento dell’edificio condominiale. Non può dubitarsi che essa sia di proprietà esclusiva del titolare di questa unità abitativa, ma non perché la sua destinazione particolare superi la presunzione legale di comunione, bensì in quanto in tale caso la scala per le sue caratteristiche strutturali non rientra proprio nell’ambito delle cose comuni di cui all’art.1117c.c.". La naturale destinazione del bene costituisce, pertanto, il parametro in base al quale distinguere la proprietà esclusiva dalle parti comuni, nelle ipotesi in cui tale destinazione non sia chiaramente desumibile dai titoli.
Nel caso in cui la chiostrina sia deputata a funzione di copertura di immobili ad essa sottostanti di proprietà esclusiva, trova applicazione l'art. 1126 c.c., il quale pone in capo del proprietario del terrazzo di copertura 1/3 delle spese di manutenzione dello stesso ed i rimanenti 2/3 a carico dei proprietari dei beni ad esso sottostanti.
A conclusione di quanto sin qui detto si possono sintetizzare i seguenti punti:
  • la chiostrina o cavedio, quando è posta a servizio di più unità immobiliari si presume condominiale salvo prova contraria;
  • le spese della chiostrina condominiale devono essere ripartite fra i proprietari dei beni che su di essa affacciano e, dunque, ne godano del servizio;
  • la chiostrina posta a servizia ed utilità di un solo bene di proprietà individuale è di proprietà esclusiva di questo;
  • per la chiostrina che funge da copertura le spese di manutenzione si ripartiscono secondo i dettami posti dall'art. 1126 c.c..


mercoledì 8 giugno 2016

Ripartizione spese infiltrazioni lastrico solare.

Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione sono tornate a chiarire la natura della responsabilità, e la conseguente ripartizione degli oneri, in caso di infiltrazioni provenienti dal lastrico solare.
I giudici di Piazza Cavour hanno distinto la posizione del proprietario del lastrico solare ovvero di chiunque altro ne abbia l'uso ed il godimento esclusivo, da quella del Condominio. In capo al primo grava l'onere di custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., il secondo è, invece, tenuto a compiere gli atti conservativi e di manutenzione straordinaria sulle parti comuni dell'edificio.
La massima della decisione in esame, consultabile integralmente grazie a link che segue, recita: "in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo, ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio, in forza degli obblighi ex artt. 1130, comma 1, n. 4, e 1135, comma 1, n. 4, c.c., il cui concorso va risolto, in mancanza della prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c.".
In buona sostanza in caso di infiltrazioni provenienti dal lastrico solare, al fine di ripartire correttamente le spese ad esse conseguenti, è necessario distinguere il diverso titolo di responsabilità fra quella del custode, di cui risponde il proprietario od utilizzatore esclusivo del lastrico, e quella del condominio, soggetto tenuto ad intervenire ogniqualvolta sia necessaria la manutenzione delle parti comuni.


martedì 7 giugno 2016

Parcheggi area comune illegittima assegnazione in via esclusiva.

La Corte di Cassazione ha affermato che l'assegnazione in via esclusiva e per un tempo indefinito, senza il ricorso a qualsiasi logica di turnazione, di posti macchina all'interno di un'area condominiale deve ritenersi illegittima poiché determina una limitazione dell'uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune.
Ne consegue, pertanto, che ogni forma di assegnazione in via esclusiva è di per sé lesiva di un uso e godimento paritario del bene: uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un'astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.
Laddove la scelta di assegnare i posti auto con le forme descritte sia frutto di delibera assembleare, adottata a maggioranza, essa è nulla, e non soltanto annullabile, perché arreca pregiudizio agli altrui diritti vantati dai condomini.

Cass. Civ., Sez. II, 27/05/2016, n. 11034


lunedì 22 febbraio 2016

Condominio rumori tollerabilità risarcimento danno.

Con la sentenza depositata lo scorso 12 febbraio la Cassazione, chiamata nuovamente a decidere in tema di rumori condominiale, ha puntualizzato alcuni aspetti innovativi rispetto al passato.
Ci si riferisce, in primis, all'aspetto probatorio ed al ruolo ora assegnato alle dichiarazioni testimoniali. In passato, infatti, la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose era oggetto di complessi e scrupolosi accertamenti peritali; nella sentenza in oggetto, invece, le dichiarazioni testimoniali assumono nuova rilevanza, al punto che anche solo su di esse diviene possibile fondare il convincimento del giudice, fermo restando l'imprescindibilità di una sua analisi finalizzata a valutare, sia l’attendibilità dei testimoni escussi sia, e ancor di più, la congruità delle dichiarazioni da questi rese rispetto al thema probandum.
Sul punto nella pronuncia in esame si legge, infatti, che "l'entità delle immissioni rumorose e il superamento del limite della normale tollerabilità possa essere oggetto di deposizione testimoniale (anche in relazione agli orari e alle caratteristiche delle immissioni stesse), spettando poi al giudice valutare, oltre l'attendibilità, anche la congruità delle dichiarazioni rese rispetto al thema probandum".
La decisione si rifà ad altra precedente in cui i Giudici di Piazza Cavour avevano affermato che "in tema di immissioni (nella specie di rumori provocati dallo svolgimento di attività sportive), i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità previsto dall'art. 844 cod. civ. non debbono essere necessariamente di natura tecnica, non venendo in rilievo l'osservanza dei limiti prescritti dalle leggi speciali (in particolare la legge n. 477 del 1995 sul cosiddetto inquinamento acustico) la cui finalità è quella di garantire la tutela di interessi collettivi e non di disciplinare i rapporti di vicinato. Pertanto, è ammissibile la prova testimoniale quando la stessa, avendo ad oggetto fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti, non può ritenersi espressione di giudizi valutativi (come tali vietati ai testi), e ciò tanto più nell'ipotesi in cui - trattandosi di emissioni rumorose discontinue e spontanee - le stesse difficilmente sarebbero riproducibili e verificabili su un piano sperimentale" (Cass. Civ., Sez. II, 31/01/2006, n. 2166).
Raggiunta la prova circa il superamento del limite di tollerabilità delle immissioni rumorose, il risarcimento dei pregiudizi risulta dovuto ai sensi dell'art. 2043 c.c. in virtù del fatto che il danno deve considerarsi in re ipsa e tenuto conto che "il limite della normale tollerabilità delle immissioni ha carattere non assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi, delle attività normalmente svolte, del sistema di vita e delle abitudini delle popolazioni e, con particolare riguardo alle immissioni sonore, occorre fare riferimento alla cosiddetta rumorosità di fondo della zona, e cioè a quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabili, continui e caratteristici del luogo, sui quali s'innestano di volta in volta rumori più intensi prodotti da voci, veicoli ecc.. Il relativo apprezzamento, risolvendosi in un'indagine di fatto, è demandato al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità se correttamente motivato e immune da vizi logici e giuridici" (Cass. Civ. SS.UU. 27/02/2013, n. 4848).
In ragione di quanto detto, colui che sopporta le immissioni rumorose ha diritto al ristoro dei pregiudizi sofferti sino alla completa eliminazione di questi.

Cass. Civ., Sez. II, 12/02/2016, n. 2864

martedì 26 gennaio 2016

Opposizione a decreto ingiuntivo nullità della delibera.

Il giudice chiamato a decidere dell'opposizione a decreto ingiuntivo su oneri condominiali insoluti giammai può sindacare, secondo principio oramai pacifico in giurisprudenza e neppure in via incidentale, la validità o meno della delibera condominiale su cui si fonda l'ingiunzione di pagamento, limitandosi le sue facoltà alla verifica o meno della sua perdurante efficacia.
Solo qualora la delibera sia stata sospesa in sede di giudizio di impugnazione della medesima, il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo è tenuto, a sua volta, a sospendere il giudizio che lo investe, stante il venir meno di uno dei presupposti per l'emissione del decreto ingiuntivo stesso, in attesa della definizione del suddetto giudizio in cui si chiede la declaratoria di inefficacia della delibera.
In sintesi, il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, una volta verificato che la deliberazione  mantenga in essere la sua efficacia, deve limitare la sua indagini alla verificazione dell'esistenza del debito e della documentazione a questo sottesa.
Il principio appena esposto trova parziale deroga, secondo recente decisione della Corte di Cassazione, esclusivamente qualora la delibera sia radicalmente nulla.
Di seguito si riporta il testo della decisione in oggetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 12/12/2005 B.R. e C.L. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Sestri Levante con il quale era stato loro ingiunto il pagamento della somma di Euro 1232,88, oltre interessi in favore del Condominio di via (omissis) , quale saldo degli oneri condominiali ancora dovuti in conseguenza del riparto delle spese di manutenzione straordinaria, approvato nell’assemblea del 28/7/2005, tenuto conto in particolare di quanto già in precedenza versato.
Gli opponenti, i quali nelle more provvedevano al pagamento della somma ingiunta al solo fine di evitare l’azione esecutiva, assumevano che, pur essendo condomini non occupavano l’appartamento relativamente al quale era stato chiesto il versamento degli oneri condominiali e che non avevano potuto presenziare all’assemblea dell’11/8/2003 nel corso della quale era stata assunta la deliberazione di effettuare lavori straordinari, votando contro l’approvazione del consuntivo di spesa nella successiva assemblea del 28/7/2005. Aggiungevano altresì che avevano constatato che i lavori svolti avevano interessato anche il balcone di loro proprietà esclusiva e senza che gli stessi avessero mai dato alcun consenso alla loro esecuzione. A seguito di rimostranze nei confronti dell’amministratore, con le quali si era lamentata altresì la presenza di vizi nell’esecuzione delle opere, avevano provveduto al saldo dei soli oneri, per la quota di loro pertinenza, relativi agli interventi di manutenzione straordinaria concernenti le parti condominiali, rifiutando il versamento della somma di Euro 1232,88, relativa invece ai lavori eseguiti dalla ditta incaricata sul balcone di loro proprietà esclusiva.
Così riassunti i fatti di causa, con l’opposizione deducevano che la deliberazione assembleare dell’11/8/2003, con la quale era stata decisa l’esecuzione di lavori straordinari ricomprendenti anche interventi sui balconi di loro proprietà esclusiva, era affetta da nullità, non potendo l’assemblea disporre a maggioranza anche per quanto concerneva beni appartenenti esclusivamente ai singoli condomini. Concludevano pertanto affinché, accertata e dichiarata la nullità della predetta delibera, fosse accolta l’opposizione con la revoca del decreto. In via aconvenzionale domandavano altresì la condanna del condominio a risarcire i danni causati dall’illegittima ed inesatta esecuzione dei lavori di rifacimento del balcone di loro proprietà, danni quantificati nella somma di Euro 1860,00 comprensiva di Iva. Sempre in via riconvenzionale, ma in linea subordinata, chiedevano la compensazione tra il credito vantato dal condominio e quello vantato dagli opponenti a titolo di risarcimento del danno.
Si costituiva il Condominio il quale oltre a dedurre l’inammissibilità e l’infondatezza dell’opposizione, chiedeva di essere autorizzato alla chiamata in causa dell’impresa Edile Artigiana “Narciso” SNC, alla quale erano stati affidati i lavori di manutenzione, al fine di essere garantita per l’ipotesi di accoglimento della domanda risarcitoria degli opponenti.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva la società in questione che, oltre ad aderire alle difese del condominio, eccepiva la decadenza dell’azione ex articolo 1667 c.c. nonché l’infondatezza nel merito della domanda riconvenzionale, chiedendo a sua volta di essere autorizzata alla chiamata in causa delle Assicurazioni Generali S.p.A., al fine di essere garantita per l’ipotesi di accoglimento delle domande proposte. Si costituiva anche la compagnia di assicurazioni la quale eccepiva l’inammissibilità ed improponibilità della domanda proposta dalla ditta appaltatrice, deducendo che la polizza stipulata non ricomprendeva i fatti dannosi posti a fondamento della domanda risarcitoria.
All’esito del giudizio di primo grado, il Giudice di Pace con sentenza del 17/2/2009 dichiarava la parziale nullità ai sensi di cui in motivazione delle deliberazioni dell’Assemblea del Condominio assunte alle date dell’11/8/2003 e del 28/7/2005 e di ogni loro atto consequenziale riguardante la proprietà esclusiva degli opponenti, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando il Condominio alla restituzione in favore degli opponenti della somma di Euro 2465,74 oltre interessi legali a far data dal pagamento al saldo. Inoltre rigettava la domanda riconvenzionale proposta nei confronti del condominio, dichiarando di non luogo a provvedere in ordine alla domanda svolta nei confronti dell’impresa appaltatrice e da quest’ultima nei confronti della compagnia assicuratrice.
Proposto appello dal Condominio, si lamentava l’erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado aveva dichiarato l’invalidità di delibere assembleali che non erano state tempestivamente impugnate nei termini di cui all’articolo 1137 c.c.. Si deduceva altresì l’erroneità della distinzione effettuata dal giudice di prime cure tra spese condominiali e spese relative ad opere eseguite sulle singole proprietà private, distinzione finalizzata ad escludere per le delibere concernenti le seconde la necessità del rispetto del termine di cui all’articolo 1137 c.c.. Assumeva inoltre che erroneamente il Giudice di Pace non aveva ammesso un capitolo di prova per interrogatorio formale e per testi, rilevante ai fini della decisione, dolendosi altresì della condanna alla restituzione di quanto versato dagli opponenti successivamente alla notifica dell’atto di precetto.
Si costituivano gli appellati che concludevano per il rigetto dell’appello proposto, nonché le Generali Assicurazioni S.p.A. la quale evidenziava che nei motivi d’appello non era stata assunta alcuna specifica conclusione nei suoi confronti.
Si costituiva altresì l’impresa appaltatrice la quale riproponeva la domanda di garanzia nei confronti della compagnia di assicurazioni.
Il Tribunale di Chiavati, all’esito dell’attività istruttoria con sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c. all’udienza del 16/11/2010 (ma pubblicata in data 17/11/2010) accoglieva l’appello rigettando l’opposizione proposta dai condomini, con la condanna degli stessi alla restituzione in favore del condominio della somma di Euro 2899,74 oltre interessi legali a far data dal 27/4/2009 al saldo, nonché al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio in favore del condominio ed in favore dei terzi chiamati, rigettando altresì l’appello incidentale.
Hanno proposto ricorso per la Cassazione della sentenza di appello B.R. e C.L. sulla base di due motivi.
Il Condominio resiste con controricorso, mentre l’Impresa edile Artigiana “Narciso” di Narciso A. & C. s.n.c. e le Generali Assicurazioni S.p.A. non hanno svolto difese.
I ricorrenti ed il Condominio hanno depositato memorie nell’imminenza dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevato da parte del Condominio per il mancato rispetto dell’articolo 366 n. 6 c.p.c. avendo i ricorrenti depositato unitamente al ricorso, i fascicoli di parte dei precedenti gradi del giudizio ed avendo altresì depositato istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex articolo 369 comma 2 c.p.c..
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 1135, 1136, 1137 e 1421 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia in relazione al disposto di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c..
Il giudice di appello, nell’esaminare la vicenda oggetto di causa, ha ritenuto espressamente assorbente il primo motivo di appello promosso da parte del condominio con il quale questi si doleva del fatto che il giudice di primo grado avesse dichiarato la nullità delle delibere condominiali con le quali erano stati approvati dalla maggioranza assembleare lavori di manutenzione straordinaria, concernenti oltre che le parti comuni, anche beni di proprietà esclusiva. Il Tribunale ha viceversa sostenuto che, attesa l’inesistenza di un qualsivoglia nesso processuale di continenza, pregiudizialità necessaria e similia tra il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e quello di impugnazione della delibera posta a base del ricorso monitorio richiesto da parte del condominio, era erronea la decisione del giudice di pace di accertare, ancorché ai soli fini dell’accoglimento dell’opposizione, la nullità della delibera di approvazione delle spese.
Assumono i ricorrenti che, essendo pacificamente emerso che il decreto ingiuntivo opposto concerneva il pagamento di interventi deliberati dall’assemblea condominiale anche per beni di proprietà esclusiva degli opponenti, quali appunto i balconi a servizio del loro, la decisione presa in sede assembleare, alla luce dei principi consolidali di questa Corte in tema di invalidità del delibere assembleari, era chiaramente affetta da nullità. In presenza di tale patologia quindi al giudice sarebbe sempre consentito rilevarla d’ufficio, essendone peraltro il rilievo del tutto svincolato da termini decadenziali. Anche il precedente menzionato in sentenza dal giudice di appello (Cassazione n. 10427 del 2000) farebbe riferimento ad una fattispecie del tutto diversa da quella oggetto di causa, essendo intervenuto in un’ipotesi in cui il decreto ingiuntivo opposto concerneva il pagamento di somme dovute dal condomino per le spese ed oneri condominiali, e non anche di somme pretese per interventi su beni di proprietà esclusiva, deliberati tuttavia da parte dell’assemblea.
Il motivo è fondato.
Ed, infatti il Tribunale ha sostanzialmente fatto applicazione nel caso sottoposto al suo esame del principio di diritto affermato da Cassazione civile Sezioni Unite 18/12/2009 n. 26629 secondo cui, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo questa riservata al giudice davanti al quale dette delibere sono state impugnate, trascurando tuttavia di prendere in considerazione il fatto che il vizio del quale risulterebbe affetta la delibera con la quale sono stati approvati i lavori, il cui corrispettivo pro quota e oggetto della richiesta monitoria, rientrerebbe propriamente tra quelli idonei a determinare la ben più radicale conseguenza della nullità della libera.
Effettivamente, considerato che pacificamente i lavori approvati all’esito dell’assemblea dell’11/8/2003 riguardavano anche interventi sui balconi di proprietà esclusiva dei ricorrenti, il vizio in oggetto, alla luce delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4806 del 2005 del 28 luglio, risulterebbe effettivamente, ove sussistente, suscettibile di provocare la nullità della delibera, di modo che non appare correttamente applicato il principio della rilevabilità, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, dell’invalidità della delibera assembleare.
Effettivamente, il precedente richiamato in sentenza dal giudice di appello (Cass. n. 10427 del 2000) nella massima sembrerebbe accomunare delibere mille ed annullabili circa la conseguenza dell’irrilevabilità della loro invalidità in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, tuttavia la lettura della motivazione del precedente in questione denota che concerneva una fattispecie che, alla luce dei principi affermati da Cass. n. 4806/2005, oggi andrebbe qualificata in termini di annullabilità (vizi relativi alla convocazione dei condomini), sebbene all’epoca ritenuta tale da determinare, secondo il preesistente orientamento giurisprudenziale, la nullità della delibera.
Rispetto al precedente invocato nella sentenza appellata, deve tenersi in adeguata considerazione l’impatto che ha avuto sulla materia, il più volte menzionato intervento delle Sezioni Unite del 2005, che ha portato questa stessa Corte ad affermare con nettezza i criteri per poter distinguere tra delibere mille ed annullabili, così che appare assolutamente necessario ritenere che il limite in merito al rilievo dell’invalidità in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, operi solo per le delibere annullabili.
In tal senso Cass. Sez. 2, n. 9641 del 27/04/2006, secondo cui ben può il giudice rilevare di ufficio la nullità quando, come nella specie, si controverta in ordine alla applicazione di atti (delibera d’assemblea di condominio) posta a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo, la cui validità rappresenta elemento costitutivo della domanda ( da ultimo in termini sostanzialmente conformi, ed in motivazione Cass. n. 23688/2014; Cass. n. 1439/2014).
Ne consegue che la sentenza impugnata non avendo fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi da questa Corte in tema di rilievo della nullità della delibera condominiale posta a fondamento di un decreto ingiuntivo, ed in sede di opposizione proposta nei confronti di quest’ultimo (principi che deve ritenersi trovino ulteriore conferma nel più recente approdo della Sezioni Unite di questa Corte in tema di rilievo ufficioso della nullità), deve essere cassata, imponendosi altresì il rinvio al Tribunale di Genova in persona diversa dal giudice che l’ha emessa, e ciò anche in considerazione del fatto che gli altri motivi di appello proposti da parte del Condominio devono reputarsi assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del primo morivo di appello.
Infatti il secondo motivo di ricorso è stato espressamente proposto in via condizionata e subordinata per l’ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo.
Il giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il secondo motivo di ricorso, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Genova in persona di altro magistrato anche per il regolamento delle spese del presente giudizio.


Cass. Civ., Sez. II, 12/01/2016 n. 305

venerdì 27 novembre 2015

Ripartizione oneri condominiali tra nudo proprietario ed usufruttuario.

Con una decisione del 6 novembre 2015 la Cassazione è nuovamente intervenuta in tema di ripartizione delle spese condominiali fra usufruttuario e nudo proprietario, stabilendo che la differenziazione deve essere posta fra quelle inerenti la conservazione ed il godimento della cosa e quelle che invece incidono sulla struttura.
Nei motivi articolati a sostegno della sentenza in esame, testualmente si legge che:
L’art. 1004 c.c. stabilisce, al primo comma, che sono a carico dell’usufruttuario “le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa”.
L’art. 1005 c.c. dispone, invece, che sono a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie, considerando come tali, con elencazione ritenuta dalla giurisprudenza di carattere non tassativo, “quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”.
L’art. 1006 c.c. prevede, poi, la facoltà dell’usufruttuario di far eseguire a proprie spese le riparazioni poste a carico del proprietario, quando quest’ultimo, previamente interpellato, rifiuti di eseguirle o ritardi l’esecuzione senza giustificato motivo. In tal caso, la stessa norma stabilisce che le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto, senza interessi.
Pur dovendosi rilevare che, in linea di principio, la nozione di “manutenzione” non si identifica con quella di “riparazione” (intendendosi per “riparazione” l’opera che rimedia ad un’alterazione già verificatasi nello stato delle cose in conseguenza dell’uso o per cause naturali, e per “manutenzione” l’opera che previene l’alterazione: cfr. Cass. 4-1-1969 n. 10), dal coordinamento delle menzionate disposizioni di legge si desume chiaramente che il legislatore ha operato una commistione di tali termini, come è reso evidente dal fatto che l’art. 1004 c.c., nell’onerare (primo comma) l’usufruttuario della “manutenzione ordinaria”, pone a carico del medesimo usufruttuario (secondo comma) le “riparazioni straordinarie” rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di “ordinaria manutenzione”.
Diversamente opinando, si perverrebbe alla inammissibile conclusione secondo cui, ponendo l’art. 1005 c.c. a carico del nudo proprietario solo le “riparazioni straordinarie”, la “manutenzione straordinaria” dovrebbe gravare a carico dell’usufruttuario; il tutto in contrasto con l’espressa previsione del citato art. 1004 c.c., che pone a carico dell’usufruttuario solo le spese e gli oneri relativi alla “manutenzione ordinaria della cosa”, con ciò stesso facendo ricadere a carico del nudo proprietario la manutenzione straordinaria.
La piena sovrapponibilità delle nozioni “manutenzione” e “riparazione” utilizzati in materia dal legislatore trova ulteriore conferma nel primo comma dell’art. 1015 c.c., che sanziona con la decadenza dall’usufrutto la condotta dell’usufruttuario il quale lasci andare i beni in perimento per mancanza di “ordinarie riparazioni”, facendo quindi ricorso ad una terminologia diversa da quella di “manutenzione ordinaria” impiegata nel primo comma dell’art. 1004 c.c. per indicare le attività alle quali è tenuto l’usufruttuario.
Deve concludersi, in definitiva, che ciò che rileva, ai fini della distinzione tra gli interventi gravanti a carico dell’usufruttario e del nudo proprietario, non è la maggiore o minore attualità del danno da riparare, ma la essenza e la natura dell’opera, e cioè il suo carattere di ordinarietà o straordinarietà, poiché solo tale caratterizzazione incide sul diritto di cui l’uno o l’altro dei due soggetti sono titolari: spettando all’usufruttuario l’uso e il godimento della cosa, salva rerum substantia, si deve a lui lasciare la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione e il godimento della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva; si devono, invece, riservare al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa, perché afferiscono alla nuda proprietà (v Cass. 4-1-1969 n. 10 citata).
Ha errato, pertanto, la Corte di Appello nel ritenere che l’art. 1006 c.c. si riferisca alle sole spese di “riparazione”, con esclusione delle spese di “manutenzione straordinaria”, quali quelle che, come si legge nella sentenza impugnata, sono state liquidate dal giudice di primo grado in favore della convenuta.
In sintesi, ciò che rileva ai fini della ripartizione delle spese è l'essenza e la natura dell'opera, dovendosi ritenere a carico del'usufruttuario, a cui spetta l'uso ed il godimento della cosa, l'onere di provvedere a tutto ciò che riguarda il bene nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva, mentre spettano al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa.
Cass. Civ., Sez. II, 06/11/2015, n.22703

mercoledì 28 ottobre 2015

Infiltrazioni lastrico solare responsabilità condominio per omessa custodia dei tombini.

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha ritenuto sussistere la responsabilità del condominio, anche in caso di infiltrazioni provenienti dal lastrico solare di proprietà esclusiva, qualora tale fenomeno sia imputabile e riconducibile ai tombini ed agli scarichi di proprietà comune ivi presenti, ricollegando detta responsabilità all'omessa custodia degli stessi.
I Giudici di Piazza Cavour hanno, infatti, sostenuto che il condominio è tenuto a verificare la presenza e gli effetti che i sistemi di smaltimento delle acque, di sicura titolarità condominiale, provocano sullo spazio privato, pertanto ha cassato con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova, affinché si accerti l'esistenza o meno di un nesso eziologico fra le lamentate infiltrazioni e l'omessa manutenzione.
Cass. Civ., Sez. II, n. 21694/2015