La chiostrina o cavedio rappresenta una sorta di cortile interno all'edificio e, generalmente, gli oneri manutentivi ad essa inerenti dovrebbero essere suddivisi fra i condomini secondo i criteri di ripartizione delle spese riconducibili proprio al cortile. La giurisprudenza, tuttavia, è spesso giunta a conclusioni diverse, soprattutto nel caso in cui il cortile ovvero la chiostrina rappresentino anche un elemento di copertura di altre unità; ciò in virtù della natura precipua della chiostrina, che è quella di rispondere ad esigenze condominiali volte alla ventilazione ed illuminazione degli appartamenti che su di essa si affaccino, ragione per cui la giurisprudenza esonera dalla manutenzione di queste aree gli appartamenti che non godano di affaccio su di essa.
In linea di principio la Cassazione sostiene che “il cavedio (o chiostrina, vanella, pozzo luce), cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio condominiale, essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali bagni, disimpegni, servizi), è sottoposto al regime giuridico del cortile, qualificato bene comune, salvo titolo contrario, dall'art. 1117, n. l, c. c., senza che la presunzione di condominialità possa essere vinta dal fatto che al cavedio si acceda solo dall'appartamento di un condomino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità (nella specie, pilozza, scaldabagno, impianto d'illuminazione), in quanto l'utilità particolare che deriva da tali fatti non incide sulla destinazione tipica e normale del bene in favore dell'edificio condominiale” (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 1 agosto 2014, n. 17556).
Cionondimeno la suddetta presunzione di condominialità della chiostrina viene superata ogniqualvolta è diversamente stabilito dall'atto costitutivo del condominio ovvero da accordi specifici intercorsi tra proprietario originario e successivi acquirenti, principio più volte affermato e riconosciuto anche nella sentenza di legittimità appena richiamata.
Si tratta quindi di un bene che si presume comune, salva diversa disposizione contenuta nel titolo d’acquisto ed è proprio l’esistenza di un eventuale titolo contrario che, escludendo la natura condominiale del bene, attribuisce la proprietà esclusiva dello stesso bene ad un soggetto. Pertanto, l'unico modo per superare la presunzione di comunione di cui al summenzionato articolo, è quello di dimostrare che la proprietà esclusiva del cavedio è da riconoscere in capo ad uno o più soggetti determinati, fornendo la prova contraria della presunzione legalmente operante.
Occorre, però, specificare quando il regolamento di condominio è idoneo a vincere la presunzione la presunzione in questione; secondo la recente giurisprudenza, la prova della proprietà esclusiva “non può essere data dalla clausola del regolamento condominiale che non menzioni detto bene tra le parti comuni dell’edificio, non costituendo tale atto un titolo idoneo a dimostrare la proprietà esclusiva del bene e quindi la sua sottrazione al regime della proprietà condominiale” (Cass. n. 17928/2007; n. 6175/2009). Ne consegue che il regolamento di condominio può avere esclusivamente una funzione positiva ossia ove prevede che la chiostrina sia di proprietà esclusiva è idoneo a vincere la presuzione quando, invece, non include la chiostrina fra i beni comuni la presunzione non può dirsi vinta stante l'interpretazione espansiva da dare all'art. 1117 c.c.. Ovviamente, in presenza di un regolamento di condominio che prevede la proprietà esclusiva del bene in esame, questa dovrà essere riportata in ogni atto con cui si dispone del diritto di proprietà dell'immobile a cui compete la proprietà esclusiva della chiostrina.
Il ragionamento sin qui condotto riguarda una chiostrina che sia posta a servizio di più unità immobiliari facenti parte del condominio poiché, nel caso in cui la medesima sia posta a servizio di una sola unità immobiliare, va da sé che non opera l'art. 1117 c.c., il quale, nell’enucleare i beni che si presumono condominiali, recita espressamente "...tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune..."; dunque, si evince che, nelle ipotesi in cui non sussista tale rapporto di accessorietà, ma vi è una destinazione particolare, il bene è “naturalmente” di proprietà individuale e, pertanto, non occorre, a livello probatorio, provare il titolo contrario, perché non opera la presunzione ex art. 1117 c.c.. Sul tema sono opportunamente intervenute le Sezioni Unite (Cass., SS.UU., Sentenza 07/07/1993 n.7449), non per dirimere un contrasto giurisprudenziale, ma in funzione correttiva dell’orientamento espresso dalle sezioni semplici. E così nella motivazione della sentenza richiamata si legge “… una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà”. E ancora “… la destinazione particolare esclude già all’origine che il bene rientri nella categoria delle cose comuni, e che ad esso possa quindi riferirsi la norma dell’art.1117c.c.. Come esempio chiarificatore può considerarsi l’ipotesi di una scala che serve per accedere a un solo appartamento dell’edificio condominiale. Non può dubitarsi che essa sia di proprietà esclusiva del titolare di questa unità abitativa, ma non perché la sua destinazione particolare superi la presunzione legale di comunione, bensì in quanto in tale caso la scala per le sue caratteristiche strutturali non rientra proprio nell’ambito delle cose comuni di cui all’art.1117c.c.". La naturale destinazione del bene costituisce, pertanto, il parametro in base al quale distinguere la proprietà esclusiva dalle parti comuni, nelle ipotesi in cui tale destinazione non sia chiaramente desumibile dai titoli.
Nel caso in cui la chiostrina sia deputata a funzione di copertura di immobili ad essa sottostanti di proprietà esclusiva, trova applicazione l'art. 1126 c.c., il quale pone in capo del proprietario del terrazzo di copertura 1/3 delle spese di manutenzione dello stesso ed i rimanenti 2/3 a carico dei proprietari dei beni ad esso sottostanti.
A conclusione di quanto sin qui detto si possono sintetizzare i seguenti punti:
- la chiostrina o cavedio, quando è posta a servizio di più unità immobiliari si presume condominiale salvo prova contraria;
- le spese della chiostrina condominiale devono essere ripartite fra i proprietari dei beni che su di essa affacciano e, dunque, ne godano del servizio;
- la chiostrina posta a servizia ed utilità di un solo bene di proprietà individuale è di proprietà esclusiva di questo;
- per la chiostrina che funge da copertura le spese di manutenzione si ripartiscono secondo i dettami posti dall'art. 1126 c.c..